La decisione di effettuare lavori di manutenzione sullo stabile è uno dei nodi più spinosi della vita condominiale: per deliberarli ci vuole un tempo infinito e per pagarli pure.
Una delle situazioni più difficili da gestire che si può manifestare in questa occasione è che, una volta deliberati i lavori, alcuni condomini restino morosi nei versamenti delle rate approvate dall’assemblea.
Solitamente la ditta appaltatrice invia al condominio, in persona dell’amministratore, una diffida ad adempiere, cioè una comunicazione con cui dichiara che, in caso di mancato pagamento delle somme concordate entro un certo termine (solitamente 15 giorni, come richiesto per legge, art. 1454 c.c.) il contratto si risolverà e i lavori non saranno completati.
A questo punto l’amministratore invia ai condomini morosi un invito a pagare e, laddove questo non bastasse, procede giudizialmente tramite il legale del Condomino chiedendo al giudice compentente l’emissione di un’ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, cioè già munita dell’efficacia necessaria per procedere a pignoramento dei beni del condominio nel caso in cui questi, una volta ricevuta l’ingiunzione, continui a non pagare.
Ora, cosa accade se, una volta trasmessa l’ingiunzione di pagamento al condominio, la ditta appaltatrice dei lavori comunica comunque la risoluzione del contratto? Il Condomìnio potrà comunque procedere al pignoramento dei beni del proprietario moroso oppure no?
Con sentenza n. 2049 del gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha dato risposta positiva a questa domanda, sostenendo che il diritto del Condominio a procedere con l’esecuzione forzata contro chi è insolvente sussiste perché l’obbligazione di pagamento nasce dalla delibera assembleare e non dal contratto stipulato con l’impresa, contratto le cui vicende non interferiscono in alcun modo, neanche in caso di risoluzione.
È chiaro che lo scopo perseguito dalla Suprema corte è quello di evitare che il condomino inadempiente tragga vantaggio dal suo stesso inadempimento.
La soluzione offerta dalla Cassazione, certamente pregevole dal punto di vista etico, presenta profili di criticità dal punto di vista giuridico, perché sembra contrastare apertamente con il principio del simul stabunt simul cadent, cioè con quel principio immanente all’ordinamento che regola le vicende dei c.d. contratti collegati ed in base al quale, se cade il contratto principale (in questo caso quello d’appalto con l’impresa), cadono anche quelli che da esso traggono fondamento (in questo caso la delibera condominiale): è lecito ritenere, infatti, che la risoluzione del contratto d’appalto fa venir meno l’interesse del Condominio alla riscossione del denaro che il condomino avrebbe dovuto versare per adempiere ad obbligazioni nascenti proprio dal contratto risolto.
Al punto di vista pratico, inoltre, si avrebbe che i lavori deliberati dall’assemblea, comunque necessari per il mantenimento dello stabile, rimarrebbero, di fatto ineseguiti.
In quest’ottica sarebbe consigliabile che l’amministratore, mandatario del Condomino per la gestione, negoziasse con l’impresa appaltatrice onde evitare la risoluzione ed attuare, piuttosto, una sospensione temporanea dei lavori, per il tempo necessario al recupero del capitale mancante: così facendo il Condominio conserverebbe interesse a procedere contro il moroso, questi non trarrebbe vantaggio da un comportamento scorretto e tutta e comunità condominiale godrebbe del miglioramento apportato dall’esecuzione dei lavori una volta terminati.
Anche questa strada, però, trova il suo limite nel caso in cui l’unico bene pignorabile del condomino moroso sia un immobile di proprietà: in questo caso, infatti – e salva l’ipotesi di individuare ex ante un compratore – i lunghi tempi della vendita giudiziale non giustificherebbero la sospensione lavori che, pertanto, diventerebbe antieconomica anche per l’impresa, costretta a mantenere un cantiere aperto per un tempo imprecisato.
La soluzione sembra emergere dalla nuova legge n. 220/2012 di riforma della normativa codicistica condomininiale (ed alla quale dedicheremo prossimamente un idoneo approfondimento) che entrerà in vigore il prossimo mese di luglio.
La riforma prevede che, nel caso in cui l’assemblea condominiale deliberi l’esecuzione di lavori straordinari debba, contestualmente ed obbligatoriamente, deliberare anche lo stanziamento di un fondo di importo pari a quello dei lavori da eseguire, con la conseguenza diretta che l’amministratore non perfezionerà il contratto con l’impresa sino a quando il fondo avrà copertura totale.
Avv. Marta Buffoni
Per maggiori informazioni contattare la segreteria ASPPI o
lo Studio dell’avv. Buffoni in Novara, Corso della Vittoria 2/H; tel: 0321 231165- 329 2757674; info@martabuffoni.net
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